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MOBBING: “cosa, come e quando”

- L’Avvocato del Lavoro commenta:

Cos’è il “mobbing”, quando si configura ed in che modo il lavoratore può tutelarsi?

-risponde il nostro Avvocato del Lavoro di Milano.

Cari lettori, il nostro Avvocato del Lavoro di Milano in questo articolo analizza un tema molto classico del diritto del lavoro e sempre più ricorrente, ovvero il mobbing sul luogo di lavoro, commentando una sentenza della Corte di Appello di Genova (Corte di Appello di Genova, 15 ottobre 2013, n. 465).

Il nostro Avvocato del Lavoro di Milano preliminarmente chiarisce che secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e/o dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria (ovvero il cd. “mobbing”), il giudice è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, esaminati singolarmente, ma pur sempre in sequenza causale possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, il quale potrebbe essere chiamato a risponderne.

Secondo l’appellante, nella sentenza oggetto di analisi del Nostro Avvocato del Lavoro di Milano, gli episodi che integravano la condotta mobbizzante tenuta dal datore di lavoro nei suoi confronti erano consistiti nel trattamento negativo e sprezzante riservatogli, anche in presenza di terzi, dal suo superiore gerarchico e in tre richiami disciplinari infondati e illegittimi e nel trasferimento disposto nei suoi confronti, mentre si trovava in malattia, che non avevano a suo dire nessuna giustificazione.

Tali sanzioni disciplinari erano relative all’accusa di avere rivolto una frase ingiuriosa ad una collega, di essere stato trovato all’interno di una struttura in compagnia di una persona estranea senza autorizzazione né giustificazione e alla sua mancata presenza al lavoro in un dato giorno.

A detta del lavoratore, la situazione descritta gli aveva provocato uno stato ansioso depressivo con attacchi di panico e ipertensione che lo avevano costretto a fare ricorso a cure mediche anche urgenti. Purtroppo il lavoratore non depositava agli atti prove sufficienti a suffragare gli asseriti comportamenti mobbizzanti del datore.

A parere del Nostro Avvocato del Lavoro di Milano, è proprio questo uno degli elementi più critici nelle vertenze di mobbing: i mezzi probatori atti a dimostrarlo.

Il Tribunale considerando che il lavoratore nulla contestava in merito alla definitiva risoluzione del rapporto, e che la domanda da lui avanzata verteva solo sull’accertamento dell’esistenza ai suoi danni di un comportamento datoriale riconducibile al c.d. mobbing, ha altresì confermato che non vi era prova degli asseriti atti persecutori, i quali costituiscono elemento essenziale affinché si possa configurare la fattispecie in oggetto.

La Corte confermava pienamente con quanto dedotto, ritenendo che l’intento persecutorio dedotto dall’avvocato del lavoro del lavoratore non si poteva neppure ravvisare nella pubblicità distorta che sarebbe stata data agli episodi in questione al fine di metterlo in cattiva luce.

Vuoi saperne di più e scoprire se un datore di lavoro ha posto in essere un atto persecutorio tale da definirsi mobbing e di conseguenza essere risarcito? Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro di Milano o Torino!

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