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SOCIAL MEDIA E LICENZIAMENTI - In quali casi si rischia il licenziamento ?

- L’Avvocato del Lavoro commenta:

Possono bastare i pochi caratteri di un tweet per essere licenziati

-risponde l’Avvocato del Lavoro.

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro di Torino in questo articolo analizza un tema di estrema attualità che riguarda i social media e i licenziamenti collegati al loro utilizzo, commentando una recente sentenza del Tribunale di Busto Arsizio (Trib. Di Busto Arsizio 20 febbraio 2018 n. 62), il quale ha ritenuto sufficienti le frasi postate da un dipendente a ledere l’immagine del datore di lavoro.

L’Avvocato del Lavoro di Torino preliminarmente evidenzia come negli ultimi anni, sempre più spesso, l’uso dei social network sui luoghi di lavoro sia entrato nelle aule dei Tribunali, chiamati a valutare la legittimità o meno dei licenziamenti decisi sulla base dei contenuti “disinvolti” postati dai dipendenti. Le decisioni rese dai giudici non sempre sono state scontate né uniformi; se, infatti la partita si gioca spesso sul filo del diritto di critica, le interpretazioni rischiano, a volte, di essere soggettive. Infatti nel caso oggetto di commento del nostro Avvocato del Lavoro di Torino, il Tribunale ha confermato il licenziamento del dipendente che, sfogandosi su Facebook, ha dato del «lecchino» e della «pecora» ad un collega. Diversamente, il Tribunale di Parma ha considerato come legittimo diritto di critica pubblicare un articolo che riguarda la propria azienda e commentarlo genericamente, affermando che «padroni così meritano solo disprezzo». E da ultimo, il Tribunale di Milano ha ritenuto la parola «bastardo» non diffamatoria, ma una semplice espressione di disistima.

Analizzando brevemente la sentenza oggetto del commento del Nostro Avvocato del Lavoro di Torino, si nota come il Tribunale di Busto Arsizio abbia considerato sufficiente pochi caratteri di un tweet lesivi dell’immagine del datore di lavoro e «rendere esplicito un atteggiamento di disprezzo verso l’azienda e i suoi amministratori». Nel caso di cui ci si occupa, il fatto è stato commesso ai danni di una compagnia aerea quando esisteva ancora il limite dei 140 caratteri (oggi passati a 280) per i post sui social networks: sufficienti, per il giudice, per ritenere leso il rapporto fiduciario con l’azienda.

Il diritto di critica ha infatti dei precisi requisiti che, se oltrepassati, possono ledere il vincolo di fedeltà alla base dei rapporti di lavoro.

Pertanto, come rileva il Nostro Avvocato del Lavoro di Torino, sotto la lente valutativa dei giudici finiscono spesso concetti quali gli obblighi di diligenza e fedeltà stabiliti dagli articoli 2104 e 2105 del Codice Civile, reinterpretati alla luce dell’attività social del lavoratore. I toni del dipendente devono essere sempre quelli di una comunicazione non offensiva né ingiuriosa che resti nei limiti di un dialogo costruttivo.

Così è stata reintegrata l’allieva dell’aeronautica militare ritratta su Facebook mentre simulava una sfilata di moda, seguita dall’affermazione «è così che si lavora», ricolta al suo datore di lavora.

L’atteggiamento assunto dalla dipendente in tale circostanza è stato considerato deliberatamente provocatorio ma non abbastanza da giustificare un licenziamento.

Diversamente, è andato oltre il dipendente che, sfogandosi su Facebook, dava ripetutamente del «lecchino» e della «pecora» al collega.

Un quadro confuso, insomma, in cui i lavoratori continuano a postare, assumendosi rischi. Nel frattempo, i contratti collettivi e le policy aziendali si stanno evolvendo prevedendo sanzioni disciplinari per le violazioni più ricorrenti commesse dai dipendenti che navigano sui social.

Ad esempio Il contratto collettivo che regolamenta il trasporto aereo prevede solo la sospensione per il pilota che «leda l’immagine della compagnia utilizzando i social network in modo inappropriato»; mentre scatta il licenziamento con preavviso quando la lesione è considerata «grave».

Da ultimo si nota come tali differenziazioni di giudizio traccino, in modo inequivocabile, un cortocircuito nel quale, quotidianamente, finiscono i giudici che si imbattono in tali circostanze.

Vuoi saperne di più e scoprire se postare su un social network frasi rivolte verso il proprio datore di lavoro o verso un collega possa dar seguito a licenziamento e di conseguenza essere risarcito per illegittimità del licenziamento? Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro di Milano o Torino!

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