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LICENZIAMENTO DISCIPLINARE PER ATTIVITA’ PROPRIE - L’Avvocato del Lavoro commenta:

La sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, n. 8236/2016 in tema di licenziamento del lavoratore impegnato a svolgere attività proprie durante l’orario di lavoro.

Nel caso in oggetto il datore di lavoro comminava licenziamento per giusta causa al lavoratore scoperto, durante l’orario di lavoro, ad eseguire attività personali utilizzando, peraltro, macchinari per cui non era abilitato. Il lavoratore, tramite il proprio avvocato del lavoro, impugnava il licenziamento presso il Tribunale di Trieste che confermava il provvedimento. Gli avvocati del lavoratore impugnavano la decisione innanzi alla Corte di Appello di Trieste che, parzialmente riformando la decisione di primo grado, confermava il licenziamento mutandone però il titolo, passando così da licenziamento per giusta causa a licenziamento per giustificato motivo soggettivo. In seguito a tale nuova decisione, il lavoratore proponeva, tramite i suoi avvocati, nuovo ricorso innanzi alla Corte di Cassazione deducendo l’illegittimità del licenziamento. La Suprema Corte accoglieva la tesi dei difensori del lavoratore ricordando come, sia nei casi di licenziamento per giusta causa che in quelli per giustificato motivo, “il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria dei rapporto”.

Di fronte alle motivazioni contenute nella decisione della Corte d’Appello - che si concentravano principalmente sul carattere di pericolosità dell’uso di macchine per cui il lavoratore non era abilitato, sul danno economico per l’impresa rappresentato dalla sottrazione di tempo alle proprie mansioni, nonché alla qualificazione della condotta come insubordinazione - la Cassazione, nell’accogliere le difese degli avvocati del lavoratore, censura la decisione impugnata cassando con rinvio la sentenza. La Suprema Corte constata, in sintesi, da parte dei giudici dell’appello una omessa valutazione degli effettivi profili oggettivi e fattuali dell’episodio oggetto di addebito disciplinare, essendosi limitati all’analisi del solo aspetto soggettivo rappresentato dal fatto che il lavoratore aveva già ricevuto nei due anni precedenti quattro contestazioni, tre delle quali seguite da sanzione.

Rileva infatti la Corte che il giudice di appello ha trascurato “di fare oggetto di esame la durata dei contestato abbandono del posto di lavoro, i tempi e le modalità dell’operazione in corso, la natura della macchina e di ogni altra attrezzatura impiegata per scopi personali, la conseguente ed effettiva necessità di uno specifico addestramento su di essa come l’entità del rischio collegato ad un uso non appropriato.

La decisione in commento, pertanto, ritorna su un principio cardine del diritto del lavoro e caro soprattutto agli avvocati del lavoro e ai giuslavoristi in generale e, cioè, quello della necessaria proporzionalità sotto il profilo oggettivo tra il comportamento oggetto di sanzione disciplinare e la sanzione stessa.

Per saperne di più rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro e del Licenziamento!

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